a una certa età

manuela vallicelli
Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall'alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po' in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione

ricevere la grazia d una nuova faccia.

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Giunti a una certa molto adulta età
non ci si può mostrare disperati,
sono davvero troppe le ragioni.
Si corre il rischio del naturalismo.
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Di essere ormai adulta l'ho capito
da come la notte vado al gabinetto.
Sicura di tornare al grande caldo, prima
era un'interruzione quasi a occhi chiusi,
veloce e trasognata. Ora è un viaggio lento
e freddo, staccato dal sonno, dove guardo
sapendo di guardare le stesse mattonelle
lo stesso muro screpolato, lo stesso secchio
lasciato in mezzo al corridoio,
e confusa nell'estatico disordine
riconosco il percorso in un codice
di piccoli sussulti finché mi riconsegno
a un tiepido torpore castigato.


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Né morte né pazzia mi prenderà:
un tremore delle vene forse
un'acuta risata, un ingorgo
del sangue, un ebbrezza limita.


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Oggi il mio cuore superbamente alberga
nel suo immenso malumore. Addio. Pazienza. 


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Dopo anni tormenti e pentimenti
quello che scopro e quello che mi resta
è una banalità fresca e indigesta.
 


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Avevo un corpo bugiardo e compiacente
servo ammiccante ai miei travestimenti
felice dei miei amori negligenti
pronto a ogni parte anche se ero assente.
Eccolo adesso moralista forsennato
non obbedisce più alle mie bugie. 

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La morte vorrei affrontarla ad armi pari 
anche se so che infine dovrò perdere,
voglio uno scontro essendo tutta intera, 
che non mi prenda di nascosto e lentamente.