patria


Siena, Battistero, particolare della facciata 


Capita a volte
che hai un mezzo pomeriggio in una delle tante
belle città italiane di provincia.
Vai dove devi andare, non hai voglia
di fare la turista, e anzi scegli
stradine laterali, senza gente,
camminando t’imbatti in uno slargo
con una chiesa, di quelle un po’ neglette,
spesso chiuse; sei già in ritardo, ma guardi
la facciata che sonnecchia, e subito
i tuoi passi si allentano, si disfano,
si fanno trasognati finché non resti
immobile a chiederti cos’è
quel denso concentrato di esistenza
sorpresa dentro un tempo che ti assorbe
in una proporzione originaria.
Più che bellezza: è un’appartenenza elementare, semplice, già data.
Ah, non toccate niente, non sciupate!
C’è la mia patria in quelle pietre addormentata.

Benché animista, la patria è selettiva
e preferendo i pascoli mediani
sceglie per rivelarsi la ricotta
che appena entra in bocca
porta con sé quei prati, quell'ineffabile
sapore di innocenza che la rende
anche al mio cuore la più amata,
la prescelta.

La patria ama le piazze,
ma solo se a animarle c'è il mercato,
non certo se le invade l'ululato
dell'orrido bestiame, che allora scappa,
va per vicoli, s'inguatta in qualche piccola
superstite bottega d'artigiano,
l'aristocratico artigiano che disprezza
l'avidità volgare della fretta.
Sì, è più facile trovarla in chi lavora,
soprattutto se lo fa con le sue mani.